giovedì 17 febbraio 2011

Ecco perchè non sostengo Fassino

Ho 41 anni. 2 figlie. Uno studio professionale. Ed ho partecipato agli incontri dei rottamatori di Albinea e di Firenze. Ascoltavo le persone che portavano le loro esperienze e le ammiravo. Nel frattempo però mi rendevo conto che quello che stava accadendo era una rivoluzione “dall’interno”. Perché le persone su quei palchi, a parlare, appartenevano tutte al sistema PD. Qualcuno cooptato (come me, nominata al terzo anno di tesseramento alla guida di un ente regionale), qualcuno – anche tra gli organizzatori - eletto a furor di popolo (e di appoggi bancari, giornalistici, ecc), qualcuno semplice gregario che parlava senza mai avere amministrato in prima persona. Poi tanti amministratori minori, inseriti in liste elettorali in virtù di qualche capobastone che ne aveva chiesto l’inserimento. Tutti però, almeno ad ascoltare le loro relazioni, di grande valore personale e capacità amministrativa e politica. Tutti che chiedevano spazi per parlare dei temi che stavano loro a cuore. A quasi quattro anni dalla fondazione del Pd mi sono convinta che la forza di questo grande partito sia proprio nella voglia di creare dall’interno le regole per il cambiamento, nella consapevolezza che tutti coloro che hanno almeno 30 anni, se hanno già mosso dei passi nella loro carriera politica, lo hanno fatto grazie alle vecchie logiche che oggi vengono criticate. Non credo che nessuno possa tirarsi fuori. Meno che mai chi a Roma ci è arrivato 30 anni fa. Meno che mai chi amministra grandi città come Torino. Quello che mi viene raccontato del funzionamento dei sindacati di allora, e della politica interna ai grandi partiti del passato, non è più edificante di quanto si è fatto nella seconda repubblica. Ecco perché ho deciso di non basare le mie scelte per queste primarie torinesi sul pregresso dei candidati ma su cosa rappresentano per il presente e, soprattutto, per il futuro. C’è chi dice che Gariglio, e i suoi sostenitori Laus e Placido, rappresentino i signori delle tessere torinesi e che per questo motivo rappresentino una politica vecchia. Io ho visto una prima fila al Lingotto che rappresenta il mondo del potere torinese e che di nuovo non ha proprio nulla. Ho visto 350 persone mai viste nei circoli del pd torinese mettersi in fila per firmare a sostegno di una candidatura in un convegno organizzato dalla famiglia Gallo e, poco dopo, ho letto che ci sarebbe una poltrona pronta in una municipalizzata per il capostipite di quella famiglia. Io non ci vedo nulla di nuovo, in questa politica. E non vedo alcun coraggio né vento di novità in un partito che tacitamente dichiara di non essere stato in grado di preparare giovani per amministrare la città se accetta di venire messo sotto tutela da Roma. Eppure Torino è governata dal centro sinistra da quattro mandati. Eppure la Provincia è saldamente in mano al centro sinistra. Eppure, se le elezioni regionali sono state perse con onore, il partito democratico lo deve proprio a coloro che - ricoprendo il proprio ruolo all’interno del consiglio con coerenza e determinazione - hanno visto ricompensato il proprio lavoro da una grande affermazione personale. Accettare che Roma sostenga di dover ricompattare il partito con una candidatura di prestigio mi offende, e dovrebbe offendere tutti coloro che guardando verso Roma non vedono tra i dirigenti del partito democratico alcun segno di compattezza. Ero a Firenze quando migliaia di rottamatori applaudivano Civati e Renzi che chiedevano il rispetto del limite dei mandati per i parlamentari. Pensavo che ciò significasse una richiesta autentica di ricambio – generazionale o no – e non una ricollocazione di coloro che a Roma risiedono da 30 anni. Questo non perché non riconosca a Fassino capacità personali e lucidità di pensiero, ma perché la gente – i cittadini tanto citati dai rottamatori – continuano a dire che “i politici sono tutti uguali” e che “se l’Italia è a questo punto è colpa sia della destra che della sinistra”. Io francamente, spesso, non so cosa rispondere loro: la legge sul conflitto di interessi è ancora da fare, la fiducia al governo è stata votata troppe volte, le riforme sugli stipendi dei parlamentari hanno avuto esito negativo, alcune leggi nefande sono state approvate perché la minoranza non era in aula e noi, purtroppo, non siamo in grado di spiegare a tutti gli elettori i ragionamenti politici che hanno permesso tutto questo. Anche l’alternarsi Veltroni-Franceschini-Bersani è difficile da capire visto da Torino, così come i tentennamenti legati all’eventuale caduta del Governo. Quando Fassino è sceso in campo mi sono tornate in mente le scene in bianco e nero dei primi telegiornali della mia infanzia: lui era già là e già allora andava davanti a Mirafiori per intercettare i voti degli operai. Io oggi faccio la libera professionista e né Fassino né altri suoi coetanei – politicamente parlando – si sono mai spesi per la mia categoria. Anzi. Quando l’ho rivisto a Mirafiori sono stata colta dalla rabbia e ho pensato “adesso basta!”. Non me ne vogliano gli operai Fiat, ma penso di esistere anch’io. Sono convinta che presentare Fassino sia una scelta perdente, per le elezioni (il centro destra alle ultime regionali è stato in grado di batterci anche perché ha schierato volti nuovi), per il nostro partito (che deve avere fiducia nei suoi giovani, anche se figli delle logiche del passato) e per il nostro futuro. Non perché Fassino sia sessantenne ma perché il mondo in cui si è formato è quello di 40 anni fa e non ho visto, finora, alcuna capacità di innovazione nel suo modo di vedere la società.